
10 Apr “Adolescence” e la solitudine degli Incel: un viaggio psicologico tra attaccamento e identità maschile
La serie TV Adolescence, con il suo sguardo crudo e intimo sull’universo giovanile contemporaneo, affronta tematiche profonde che spesso rimangono ai margini del dibattito pubblico. Uno degli aspetti più controversi e psicologicamente rilevanti è la rappresentazione, seppur implicita, della figura dell’incel – termine nato online che indica individui, perlopiù giovani uomini, che si definiscono “involontariamente celibi” e che sviluppano nel tempo un risentimento profondo verso le relazioni affettive e sessuali.
Il protagonista della serie, Jamie, è un adolescente introverso, spesso isolato e alienato dal mondo dei pari, incapace di entrare in sintonia con le dinamiche relazionali tipiche della sua età. Più che una semplice rappresentazione dell’insicurezza adolescenziale, Adolescence ci propone un ritratto psicologico stratificato, che porta in superficie un conflitto interiore ben più radicato: quello del vuoto affettivo derivante da un attaccamento disfunzionale con la figura paterna.
Dall’invisibilità al rancore: Incel, trauma da attaccamento e bullismo come radici di un disagio silenzioso
Il termine incel, acronimo di involuntary celibate, è ormai entrato nel lessico contemporaneo non solo come categoria sociologica ma come spia di un disagio psichico più ampio. Se superficialmente il fenomeno può sembrare una semplice manifestazione di misoginia online, una lettura psicologica più profonda suggerisce la presenza di traumi precoci e non elaborati legati all’attaccamento, all’autostima e all’esperienza del rifiuto sociale, spesso incarnato dalla violenza simbolica del bullismo.
La serie Adolescence, attraverso il personaggio di Jamie, ci accompagna dentro questa spirale. Jamie non è solo un adolescente “strano” o “chiuso”: è un ragazzo che porta nel corpo e nella psiche il peso di ferite invisibili. Le sue difficoltà relazionali non nascono nel presente, ma si radicano in un passato fatto di attaccamenti fragili, mancanze affettive, e dinamiche scolastiche escludenti.
Il trauma dell’attaccamento: una ferita silenziosa
Il concetto di attaccamento elaborato da John Bowlby descrive il bisogno umano primario di formare legami sicuri con figure di riferimento. Quando questi legami sono instabili, imprevedibili o rifiutanti – come nel caso del padre di Jamie, emotivamente distante e non sintonizzato – il bambino sviluppa modelli operativi interni basati sulla paura del rifiuto, sull’idea di non essere degno d’amore, o sulla convinzione che l’altro sia pericoloso o inaffidabile.
Questi modelli, se non riconosciuti e rielaborati, si trasformano in copioni relazionali disfunzionali. Il giovane adulto si ritrova a oscillare tra idealizzazione e disprezzo, desiderio di vicinanza e paura dell’intimità. È in questo vuoto che si può inserire la logica incel, che ristruttura il dolore individuale in una narrativa collettiva di vittimismo e colpa esterna.
In psicologia dello sviluppo, la teoria dell’attaccamento suggerisce che la qualità del legame con le figure di accudimento primarie – in particolare madre e padre – influenzi in modo profondo la capacità dell’individuo di costruire relazioni sicure e appaganti. Nel caso di Jamie, il padre appare emotivamente distante, freddo, talvolta assente. Non è solo la mancanza fisica a segnare il protagonista, ma l’assenza simbolica: quella di una guida, di un modello di mascolinità empatica e solida.
Jamie non ha mai potuto “specchiarsi” nello sguardo paterno per costruire la propria identità. Al contrario, il padre rappresenta un ideale inaccessibile di forza, successo e controllo, davanti al quale il protagonista si sente sempre inadeguato. Questo tipo di attaccamento evitante – in cui il bambino apprende che esprimere i propri bisogni emotivi non genera risposte – può portare, in adolescenza, a una chiusura difensiva, un’incapacità di entrare in intimità con l’altro, e, in alcuni casi, a un’identificazione con ideologie che offrono un senso di appartenenza a partire dal rifiuto.
Bullismo e ferita narcisistica
Il bullismo rappresenta una seconda matrice fondamentale nel vissuto incel. Molti ragazzi che si riconoscono in questa categoria riportano esperienze di esclusione, umiliazione, e derisione durante l’infanzia e l’adolescenza. Queste esperienze non sono solo episodi isolati, ma veri e propri traumi relazionali complessi, capaci di incrinare il senso di sé e la fiducia nel mondo.
Il bullismo colpisce spesso nei punti più vulnerabili: l’aspetto fisico, la goffaggine sociale, la timidezza, la mancanza di status. Il soggetto interiorizza uno sguardo svalutante che si annida nella coscienza e diventa autocritica feroce. Quando il dolore non viene riconosciuto o verbalizzato, la sofferenza si trasforma in rabbia. Una rabbia che, nel contesto digitale, trova sfogo in comunità online dove il risentimento viene condiviso, validato e amplificato.
Il passaggio da vittima a carnefice: la deriva incel
In alcuni momenti della serie, vediamo Jamie sfogare il proprio dolore attraverso i social e i forum online. Inizia a frequentare comunità virtuali dove si parla di “Red Pill”, di “ipergamia femminile”, e dove viene coltivata una narrativa vittimistica e rancorosa verso le donne e verso i “vincenti”. Questi spazi forniscono una risposta semplice a un dolore complesso: se non riesci ad amare o essere amato, è colpa di un sistema ingiusto.
Ma dietro la rabbia incel, spesso si cela una profonda paura dell’intimità, una difficoltà a fidarsi, e un bisogno disperato di riconoscimento che non è mai stato soddisfatto nei primi legami affettivi. Non è raro, in questi soggetti, trovare tratti depressivi, sentimenti di inadeguatezza cronica, e la tendenza a rifugiarsi in fantasie di controllo o vendetta come unico modo per riaffermare un’identità fragile.
Mascolinità tossica o mascolinità ferita?
La serie non giudica Jamie. Lo mostra con delicatezza, nella sua vulnerabilità, nei suoi tentativi maldestri di farsi notare, nel suo desiderio – inespresso – di essere amato. Adolescence ci invita a riflettere su una questione più ampia: cosa significa oggi diventare uomo, in una società che spesso non offre alternative tra la forza aggressiva e la debolezza stigmatizzata.
Il protagonista non è un “mostro”, ma un ragazzo in cerca di senso, di affetto, di guida. La sua eventuale deriva incel non nasce dal disprezzo, ma dalla ferita. E questa ferita affonda le radici proprio nella frattura emotiva con il padre.
Incel: un’identità-rifugio tra difesa e dissociazione
Da un punto di vista psicodinamico, l’identità incel può essere vista come una difesa narcisistica di fronte al sentimento di annichilimento. Se nella realtà il soggetto si sente invisibile, insignificante, incapace di influenzare l’altro, nello spazio incel può diventare qualcuno, anche solo attraverso la rabbia. La narrazione incel offre una “verità” semplificata e seduttiva: se non riesci a essere amato, è colpa delle donne, della società, del “sistema”.
Questo meccanismo agisce come una forma di dissociazione affettiva: il soggetto scinde la parte sofferente e vulnerabile (il “bambino ferito”) e costruisce una corazza cinica, sarcastica, a volte apertamente ostile. È un modo per non sentire il dolore, per esercitare un controllo simbolico su un mondo che si è vissuto come fonte di umiliazione.
La vergogna come emozione nucleare
Al centro del vissuto incel non c’è l’odio, ma la vergogna. Una vergogna profonda, arcaica, legata alla convinzione di essere “sbagliati”, di non meritare amore. È la stessa vergogna che provano i bambini ignorati o respinti dai genitori, o i ragazzi bullizzati davanti alla classe.
Questa vergogna, se non elaborata, può degenerare in una forma di auto-svalutazione cronica oppure essere proiettata all’esterno sotto forma di rabbia e disprezzo. La comunità incel diventa così uno specchio distorto in cui la vergogna viene condivisa ma mai guarita.
Uscire dalla spirale: elaborazione del trauma e ricostruzione del Sé
La sfida psicoterapeutica nei casi in cui un giovane si avvicina al pensiero incel è riconoscere la sofferenza nascosta sotto la corazza difensiva.
Il lavoro clinico deve mirare alla rielaborazione del trauma relazionale e dello sviluppo, attraverso percorsi psicoterapeutici volti alla rielaborazione delle cause della ferita psicologica che l’Io porta con sé, come ad esempio elitaria rappresenta la Terapia E.M.D.R. (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), al recupero della capacità di fidarsi, e alla ricostruzione di un’identità che non si fondi sull’opposizione o sul rifiuto, ma sulla possibilità di essere visti, accolti, e integrati.
È fondamentale anche lavorare a livello educativo e preventivo, offrendo ai giovani modelli di mascolinità emotivamente competenti, che sappiano legittimare la vulnerabilità e l’empatia come risorse, non come debolezze.
Conclusione: ascoltare il disagio, prima che diventi odio
La serie Adolescence è un potente richiamo alla responsabilità adulta: quella di creare spazi di ascolto, di educare all’empatia, di offrire modelli maschili che sappiano integrare forza e vulnerabilità. Solo riconoscendo il dolore invisibile che spesso si cela dietro la rabbia giovanile, possiamo prevenire derive distruttive come quelle del fenomeno incel.
In definitiva, dietro ogni incel potrebbe esserci un ragazzo come Jamie: un adolescente che ha bisogno, più di tutto, di un padre che sappia esserci – non solo con la presenza, ma con il cuore.
Il fenomeno incel non è un prodotto del web, ma una manifestazione estrema di disconnessione emotiva e ferite relazionali irrisolte. Dietro ogni avatar incel potrebbe esserci un ragazzo come Jamie: solo, spaventato, ferito. Non un nemico da combattere, ma un dolore da riconoscere. Un figlio che, forse, ha solo bisogno che qualcuno lo guardi – davvero.